La riforma americana può considerarsi regressiva?

Della riforma fiscale americana, voluta dal Presidente Donald Trump (il c.d. Tax Cuts and Jobs Act) e approvata dal Congresso statunitense nel dicembre del 2017, ha parlato oggi il prof. Giancarlo Rando – docente di Sistemi giuridici comparati e di Diritto pubblico comparato dell’UniFortunato – intervenendo al convegno organizzato dall’Università Bocconi dal titolo “La presidenza americana dopo i primi due anni del Presidente Trump”, al quale hanno partecipato docenti dei più prestigiosi atenei italiani.

Nell’illustrare i vari punti della riforma, Rando ha precisato che è la più articolata fra quelle degli ultimi 30 anni e riguarda sia le imprese che gli individui. L’abbassamento dell’aliquota dal 35% al 21% ha permesso il rientro di ingenti quantità di capitali che le multinazionali americane, in presenza di una elevata tassazione in patria, detenevano all’estero in ordinamenti con regimi fiscali più favorevoli. La riforma prevede anche l’abbassamento delle aliquote per le persone fisiche, che però non sarà permanente ma avrà vigore fino al 2025.

Inoltre, il prof. dell’UniFortunato ha esposto gli effetti e le conseguenze di tale riforma sul bilancio dei singoli Stati, nonché le le implicazioni sull’economia americana dopo il primo anno di applicazione.

Questa riforma fiscale americana può considerarsi regressiva o progressiva?

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